La TV incontra gli algoritmi: stanno arrivando le pubblicità personalizzate

La TV incontra gli algoritmi: stanno arrivando le pubblicità personalizzate

Affrante dalla concorrenza dei servizi di video-on-demand come Netflix, le aziende aziende radiotelevisive storiche stanno pianificando una piccola rivoluzione, nella speranza di frenare la fuga dei clienti: le pubblicità su misura, parametrate cioè non solo in base al sesso e all’età degli degli utenti ma anche e soprattutto ai loro interessi e abitudini. Negli Stati Uniti le chiamano addressable ad, pubblicità indirizzabili, e le loro potenzialità hanno catturato l’attenzione di tutti i grandi del settore, che per quest’anno hanno grandi piani di sviluppo della tecnologia.

Va ricordato come questo fenomeno sia già presente da anni su Internet, dove si sta parlando sempre di più di “personalizzazione emozionale”, grazie alla quale le pubblicità potrebbe essere capaci, ad esempio, di sintonizzarsi sull’umore dello spettatore che sta vedendo la sua squadra di calcio perdere per 5 a zero, oppure il suo beniamino pop vincere un talent show. Per diventare bersaglio delle addressable ad, comunque, bisogna avere una smart TV, anche chiamata HbbTv, Hybrid Broadcast Broadband Television: ovvero quegli apparecchi che permettono di fruire sia dei canali tradizionali  (satellite e digitale terrestre) sia della tv collegate a Internet (ad esempio Netflix).

Il sistema funziona così: i network televisivi e i provider prendono le informazioni provenienti dalla Rete mentre navighiamo (coi nostri smartphone, computer or tablet) e le combinano con quelle provenienti dai set-top box, gli apparecchi elettronici che aggiungono alcune funzioni ai nostri televisori, inizialmente non previste.

Il risultato? Pubblicità che proporranno all’amante dei resort di lusso luccicanti immagini di Sharm-el-Sheik, mentre allo studente fuorisede arriveranno offerte di pizza surgelata dal supermercato più vicino. Esageriamo, ma il senso è quello.

È proprio la diffusione sempre crescente delle smart TV a spingere le potenzialità delle addressable ad: vale anche per l’Italia, dove ne sono installate circa quattro milioni (su 44 milioni in Europa). Del resto, se ne parla da mesi: Sky si è mossa l’anno scorso con Ad-Smart, che attraverso i decoder MySky offre spot personalizzati per gli utenti; nello stesso periodo Mediaset ha iniziato a muoversi sulla stessa strada, e così anche Viacom e Discovery, quest’ultima con l’ausilio di “Smartclip”, una società tedesca del gruppo Rtl, per provare a sviluppare campagne pubblicitarie di tipo addressable.

Oltreoceano si ragiona ancora più in grande. Nbc ha annunciato un nuovo servizio di streaming che creerà molte più pubblicità di questo tipo; Hulu ha abbassato il prezzo dei suoi spazi pubblicitari per ospitare più addressable ads; Viacom ha comprato una società di video-on-demand basata interamente sulla pubblicità digitale. Il colosso AT&T, da parte sua, ha spiegato che dietro la decisione di acquisire Time Warner, l’anno scorso (per circa 80 miliardi di euro), c’è la capacità di quest’ultima di sviluppare prodotti addressable per la sua Direct TV.

Allo stato attuale, le pubblicità televisive sono segmentate soprattutto per sesso ed età, tant’è che una persona perfettamente in salute può ritrovarsi con pubblicità di farmaci, mentre un possessore di gatti può ritrovarsi con pubblicità di cibo per cani. Le pubblicità “mirate”, invece, conoscendo anche l’ubicazione geografica, i gusti e le abitudini di consumo di ciascun utente puntano a rendere il messaggio più rilevante, e dunque efficace per chi lo riceve. I dirigenti delle aziende pubblicitarie lo dicono chiaro e tondo: non sono più interessati ai segmenti d’età ma al Big Data, cioè a tutte le informazioni possibili e immaginabili per personalizzare il messaggio.

Il salto di qualità per le aziende televisive potrebbe essere importante, soprattutto perché questo settore pubblicitario che non è stato ancora colonizzato da Google o da Facebook (come invece è successo con Internet). Gli inserzionisti, dal canto loro, sembrano rispondere bene, avendo già investito l’anno scorso, negli Stati Uniti, 2,25 miliardi di dollari nella tecnologia degli addressable, con un incremento del 79 per cento rispetto allo scorso anno, conducendo a un cambio di passo rispetto alle modalità con cui le réclame sono state vendute e comprate per decenni.

I vantaggi principali? Innanzitutto l’abbattimento dei costi, perché i produttori dei contenuti pubblicitari punteranno a un gruppo più piccolo e definito; le società dai mezzi più limitati potranno così permettersi di comprare spazio pubblicitario su canali nazionali, con una barriera d’ingresso al marketing televisivo che sarà abbassata. In questo modo gli spettatori della tv tradizionale potrebbero ritrovarsi con pubblicità molto specifiche e di nicchia, che normalmente ritrovano soltanto nei banner su Facebook o su Netflix.

Nel breve periodo bisogna tenere conto, però, di ostacoli importanti: le addressable ad sono più difficile da vendere seguendo economie di scala proprio perché puntano a segmenti di consumo più piccoli. E le società che vendono prodotti molto generici (ad esempio spazzolini da denti o carta igienica) potrebbero preferire ancora le vecchie modalità di utilizzo degli spazi pubblicitari.

Le cause principali della lentezza con cui i tradizionali spot televisivi verranno sostituiti da quelli personalizzati potrebbero comunque essere altre: connessioni Wi-Fi troppo lente, specialmente in Italia, che rischiano di far andare in blackout per qualche secondo lo spazio occupato dallo spot. E poi, come spiega Luca Di Cesare, Managing Director di Smartclip Italia, “Oggi ci si sta concentrando su un nuovo tipo di pubblicità display per la tv: banner a forma di L, una sorta di cornice che restringe il contenuto per qualche secondo. Non sono all’interno dei break tradizionali e non vanno in sovraimpressione. Inoltre, sono interattivi perché basta premere un tasto sul telecomando per avere contenuti ed informazioni ulteriori. Ovviamente hanno tutte le caratteristiche dell’addressability e compaiono in tempi e contenuti diversi da spettatore a spettatore”.

Parliamo, infine, di un bombardamento pubblicitario che rischia di sommarsi a quello già esistente: la prospettiva nefasta è quella di una tv gratuita ma invasa da banner che non lasciano scampo ai fruitori, oppure di pay tv che minacciano rincari a meno che gli utenti non accettino di diventare cavie degli addressable. Una rivoluzione di cui tener conto, dunque, ma ancora di là da venire, e dagli effetti psicologici e sociali ancora tutti da analizzare.

di Paolo Mossetti per Forbes.it