Il primo esperimento italiano di neuromarketing è stato condotto dal professor Fabio Babiloni, dal dottor Marco Meroni e dal consulente di marketing Ramon Soranzo, in collaborazione con il gruppo di imaging neuroelettrico cerebrale presso il Dipartimento di Fisiologia umana e Farmacologia dell’Università di Roma “La Sapienza”.
La finalità era di studiare l’attività cerebrale dei soggetti alla visione di alcuni documentari televisivi e spot pubblicitari tramite l’utilizzo dell’EEG ad alta risoluzione spaziale.
Lo studio ha avuto la durata di 5 giorni: ogni sera ad un gruppo di 10 uomini, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, veniva mostrato un diverso documentario, intervallato da circa 18 pubblicità sconosciute ai soggetti, alcune di marche note e altre di organizzazioni no profit.
La raccolta dei dati è stata completata da due interviste, rispettivamente il quinto giorno di visione dei filmati e a dieci giorni di distanza dalla visione dell’ultimo, durante le quali veniva prima chiesto ai soggetti di elencare gli spot che ricordavano spontaneamente e successivamente venivano mostrate immagini delle pubblicità rimosse per riportarle alla memoria; anche in questa fase erano monitorati dall’ EEG.
I risultati hanno riscontrato che vi era una differenza nell’attività cerebrale tra gli spot ricordati spontaneamente e quelli rimossi: nei primi, infatti, si notava un’intensa attività delle aree corticali frontali, in congiunzione con quelle parietali e in entrambi gli emisferi; al contrario, negli spot dimenticati si registrava soltanto una diffusa attivazione corticale, e cioè una generale attività non specifica che ha portato in seguito alla rimozione del ricordo. Questo fenomeno si potrebbe anche spiegare con la presenza di processi cerebrali alternativi che distraevano il soggetto dalla pubblicità.
Dall’esperimento si è dunque capito che il presupposto per la memorabilità di una pubblicità risiede nella sua capacità di attivare processi cerebrali intensi e specifici di alcune aree del cervello, infatti un’attivazione massiva porterebbe unicamente all’esecuzione di processi mentali concorrenti che distoglierebbero l’attenzione degli spettatori.
Successivamente sono stati analizzati anche gli esiti delle interviste, dalle quali è emerso che l’indice di ricordo degli spot si attestava al 53% al quinto giorno e al 63% dopo 10 giorni, mentre l’indice di riconoscimento era rispettivamente del 98% e del 96%. L’incremento osservato nel ricordo tuttavia è da interpretare e da contestualizzare: i soggetti erano stati indotti a ricordare gli spot durante la prima intervista, l’aumento è dunque derivante dalla sollecitazione ricevuta e non dal ricordo effettivo, che sarebbe stato probabilmente inferiore. Durante il riconoscimento si è inoltre notato che sono state attivate diverse aree del cervello rispetto al ricordo, quali il circuito franto-parietale destro, che interessa infatti il recupero delle immagini. Inoltre, in entrambi i casi, è stata evidenziata una significativa attività dei lobi frontali, principalmente nella parte orbitofrontale sia destra che sinistra, genericamente coincidente con l’area 10 di Brodmann. Questa considerazione è interessante poiché l’attività dei lobi frontali, ed in particolare dell’area 10 di Brodmann, è legata al gradimento o al disgusto, e dunque indica che il soggetto ha provato un’intensa emozione. 52
In conclusione con questo esperimento si è voluto dimostrare che vi è una correlazione tra l’attività cerebrale di un individuo e la sua capacità di ricordare un’informazione, e che inoltre gli spot con maggiori contenuti emozionali vengono memorizzati più facilmente rispetto agli altri.
Esempio di rilevazione dell’indice di attenzione di un soggetto intento alla visione di una pubblicità dei Pocket Coffee, in questo caso si può notare che il soggetto non è particolarmente coinvolto.